Press Room » News

News

22/11/2017 LARDINELLI: "IMPIANTI, ISTRUTTORI E RIFORME: IL BASKET GIOVANILE ITALIANO VA AIUTATO"

 

 

Il fallimento dell’Italia calcistica fa riflettere in tutti gli sport. In questa situazione, quanta colpa ha la scarsa prolificità dei settori giovanili?

Quello che mi sento di dire, innanzitutto, è che la colpa non è assolutamente degli stranieri, che aumentano il livello degli allenamenti e ti portano a lavorare duro per conquistarti il posto. Nei tempi dei giovanissimi Belinelli, Mancinelli, Polonara, questi giocatori dovevano dare il 220% e passare più tempo in palestra che a casa per guadagnarsi qualche minuto in una squadra ricca di stranieri fortissimi. Ritengo fondamentali 3 cose in un settore giovanile di rilievo: strutture, allenatori, giocatori.

Il livello degli impianti italiani, al momento, non si può ritenere adatto per un percorso di crescita del movimento…

Il 38% delle scuole non ha una palestra di proprietà per fare educazione fisica, e nel 27% dei casi quelle che ci sono risultano fatiscenti. Come pensiamo di educare un bambino a fare attività fisica se nella scuola si fa di tutto per evitarlo? Le varie società sportive che entrano nelle scuole ad insegnare qualche piccola base ai bambini non bastano più, perché le insegnanti non sono interessate all’educazione fisica. L’ora di ginnastica a scuola è vista come un’ora di pausa, di ricreazione… Non deve essere questo il messaggio che la scuola trasmette ai bambini sullo sport.

E gli allenatori?

Ormai anche e soprattutto nei settori giovanili, è una gara tra allenatori a chi è quello più “avanti”. Sento ragazzini di 13 anni che fanno già difese a zona, che però non riescono a fare correttamente un terzo tempo. In questo momento non formiamo allenatori che lavorano sulla tecnica di base e puntano al miglioramento individuale dei propri giocatori, ma allenatori che vogliono vincere campionati già dall’Under 13.

Come giudichi la politica degli italiani, senior ed under nei campionati di A, A2 e B?

Ribadisco, non sono gli stranieri il problema. Nei nostri campionati i giocatori italiani sono considerati come dei panda: una specie protetta. Giocano e vengono pagati fino a 35, 40 anni e sono considerati intoccabili perché così dice il regolamento. Se un giocatore italiano è bravo davvero, il posto lo trova sempre. Ma in questo momento storico al giocatore italiano non interessa migliorare, perché grazie ai regolamenti un posto tra A, A2 e B lo trova sicuro. In A vengono premiate quelle squadre che fanno giocare di più gli italiani, così ci lamentiamo se non c’è ricambio generazionale e si preferisce un 35enne ad uno di 19 anni. E’ la politica di incentivazione che è sbagliata. Per non parlare dei parametri…

Parliamone pure.

6mila € in Serie B, 9mila € in Serie A2, 12mila € in Serie A. In Serie B le squadre che hanno un budget di 150 mila € si contano sulle dita di una mano, e per tesserare 10 giocatori ne devono spendere 42mila senza considerare gli stipendi per tesserare 7 giocatori, più del 30% del budget. In Serie A, con budget di almeno 1 milione di euro, 120mila € per tesserare 10 giocatori non sono praticamente nulla. La differenza è  netta, e andrebbero  aumentati in Serie A e diminuiti nelle serie inferiori. Inoltre, i parametri dovrebbero essere suddivisi per età: primi due anni da senior? Si paga la metà. Dal terzo fino ai 35 anni di età? Si paga il parametro pieno. Dai 35 in poi? Si raddoppia, almeno si incentivano le società a puntare sui più giovani. Il movimento italiano non deve avere interesse nel trovare spazio agli Over 30, ma agli Under 25.

Questo regolamento certamente sfavorisce le società più piccole…

Ad oggi, i ragazzi che giocano in società di categorie inferiori hanno più difficoltà di emergere rispetto a quelli che, al contrario, possono fare la trafila giovanile in un vivaio di Serie A o A2. Un ragazzo di un settore giovanile dotato di buon potenziale tecnico/atletico,  che gioca con una società che non ha  una squadra in Serie A o in A2 potrebbe perdere una grande occasione. Non per sua colpa, ma perché l’attuale normativa, non favorendo il passaggio di giocatori  alle società di serie superiore,  di norma dotate di migliore organizzazione  a livello di settore giovanile, gli impedisce di fare il giusto percorso di maturazione. Andrebbe studiato un meccanismo che favorisca l’interscambio, rispettando le legittime aspirazioni economiche di tutte le società; in buona sostanza se un ragazzo ha delle potenzialità è giusto che possa esser fatto maturare in società che possano inserirlo in campionati competitivi di più alto livello ed è altrettanto giusto che la società minore, laddove il ragazzo  emerga ad alto livello,  venga adeguatamente premiata dal punto di vista economico. Vanno incentivate le possibilità di collaborazione tra società e superati quegli sbarramenti, frutto di visioni miopi ed egoistiche, che impediscono la crescita del basket in Italia.    Bisogna dare  l’opportunità ai  ragazzi di misurarsi quotidianamente con giocatori del più alto  livello   per fare esperienza e “farsi le ossa”. Basti guardare l’esempio di Matteo Battisti: ha iniziato a Fano e poi  grazie alla collaborazione che si era creata tra le società, ha fatto gli anni più importanti dell’attività giovanile  a Jesi, esordendo in A2 con la nostra maglia da Under, poi è andato a giocare in Serie B dove ha trovato la sua dimensione  ed infine è tornato da noi per fare prima il cambio e poi il titolare in A2. Stesso percorso che stanno facendo Moretti, Scali e Vita Sadi.

 

Che obiettivi si pone il settore giovanile dell’Aurora Basket?

La nostra filosofia è sempre stata quella di seguire e curare  la crescita tecnica e individuale del giocatore. Non abbiamo mai chiesto a gran voce alcun tipo di vittorie di campionati giovanili e mai lo faremo. Certo, le vittorie aiutano la crescita e sono un buon metro di giudizio sul lavoro di un allenatore, ma è una fase che riteniamo più importante dai 16 ai 20 anni: quando la crescita tecnica è ormai all’apice, e deve crearsi una specifica mentalità per sfruttare le cose imparate fino a quel momento per vincere le partite, dandosi da solo l’opportunità di confrontarsi con giocatori di alto livello. Giusto? Sbagliato? Non lo so, ma questa è la politica che seguiamo per produrre giocatori da inserire in un contesto di prima squadra.

Cosa dovrebbe fare la FIP per aiutare il nuovo sviluppo dei vivai cestistici italiani?

Innanzitutto, favorire la costruzione e la ristrutturazione degli impianti. Come ho già detto, un’impiantistica a norma è alla base di un movimento che deve tornare ad alti livelli. E la FIP deve aiutare le società, partendo dai campi all’aperto per arrivare fino ai palazzetti, sempre con più di un occhio di riguardo per le società che puntano tanto sul proprio settore giovanile: chi ha una foresteria, chi investe nei progetti con le scuole, chi forma sempre un grande numero di allenatori, assistenti e dirigenti ogni anno. E le società satellite sono un ottimo punto per aiutare una società a far fare esperienza ai propri giovani, come sta cercando di fare molto bene la Dinamo Sassari. Affiliandosi ad un’altra società, si possono risparmiare sui parametri dei giovani e allo stesso tempo farli crescere, per poi reinvestire quei risparmi nei propri settori giovanili. Sarò un visionario? Spero vivamente di no.

 
 

Share |
« indietro

Title Sponsor

Main Sponsor

Gold Sponsor