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30/03/2020 #AURORA RACCONTA IL 2008, LA COPPA ITALIA E LA CAVALCATA FINO ALLA FINALE PLAYOFF

 

Si volta pagina. Anzi, la pagina è già stata voltata un anno e mezzo fa, in quell’estate del 2006 quando Alfiero Latini fu costretto a passare la mano e per l’Aurora rischiò di aprirsi il baratro. Per merito della società, di Livio Grilli e dell’intervento della famiglia Fileni, però, il basket a Jesi continuò, e continua tutt’ora, tornando ai colori originali, l’arancio e il blu. Se nei primi quattro mesi le difficoltà non furono poche, la svolta per nuovi successi arrivò a fine dicembre: l’esonero di Subotic, il taglio di Stanton, gli arrivi di Rodger Farrington, Ryan Hoover e coach Andrea Capobianco.

 

Dopo un primo epilogo esaltante in cui l’Aurora passò dall’ultimo posto in classifica alla semifinale playoff persa solo in gara-5 contro Pavia, il 2008 fu un altro degli apici della storia arancioblù. La squadra dell’anno prima, presa in corsa da Capobianco, venne rinforzata dagli arrivi di due indimenticati talenti come Tony Maestranzi e David Moss, elementi che, insieme alla spina dorsale Rossini-Maggioli-Hoover-Farrington e gli innesti di esperienza Cantarello e Sambugaro, fecero fare un salto in avanti eccezionale. Intanto guadagnandosi il quarto posto e la qualificazione alla Final Four di Coppa Italia.

 

Il primo avversario, al sabato, in quel di Ferrara, rispondeva al nome di Vanoli Soresina, la formazione capolista e con un roster di altissimo livello che poteva contare anche su un Flavio Portaluppi agli ultimi atti della sua carriera. Di fatto, però, in campo non ci fu moltissima storia, con l’Aurora quasi sempre in vantaggio, spesso anche in doppia cifra, spinta da una partita delle sue di Michele Maggioli, capace di ridicolizzare un ex giocatore di Eurolega come Quadre Lollis. Alla fine il tabellone finale recitò 82-75 con l’ultimo tentativo di rimonta degli avversari spento da una tripla di Lupo Rossini.

 

Il giorno dopo fu il gran giorno. L’ennesima battaglia alle porte contro la Carife padrona di casa è solo un altro dei tanti atti di uno scontro ormai diventato un classico: il testa a testa l’anno della promozione in A1 per il secondo posto, i playoff del 2006, quello spareggio all’ultima di regular season nel 2007, ora questa finale. Per l’Aurora non la miglior partita da disputare: un avversario forte, con nomi del calibro di Andre Collins, Harold Jamison, Farabello, Ghiacci, Nnamaka, che per giunta si giocava in casa il trofeo. E l’inizio di partita, infatti, si rivelò difficile per l’Aurora con la futura promossa in Serie A: con un Jamison straripante, Ferrara controllò il match fino all’ultima frazione.

 

La Carife, però, non aveva fatto i conti con David Moss. Grazie a una partita perfetta, il fenomeno americano riportò Jesi sino al pareggio, un equilibrio che rimase costante sino alla sirena. Nell’overtime, però, la squadra in campo fu una sola: messa alle corde, Ferrara non seppe reagire ai canestri del numero 15 arancioblù: la festa poteva partire! L’Aurora vinse l’unica Coppa Italia finora messa in bacheca, ma soprattutto fece gioire nuovamente tutto il popolo arancioblù che guardarono a quel successo con occhi colmi di speranza per il futuro. Una sensazione che, ogni singola domenica, si trasformava in un pienone al palazzetto, tanti cuori che battevano e speravano.

 

Dopo la Coppa Italia l’Aurora incappò in un girone di ritorno non altrettanto convincente che fece scivolare la squadra all’ottavo posto a fine Regular Season, il penultimo disponibile per la post-season. In sostanza, l’obbligo a giocarsi tutti gli eventuali spareggi in territorio nemico. Quell’Aurora, però, aveva veramente poche rivali, specie in quanto a guida tecnica, ad applicazione e a cuore. La prima ad accorgersene fu Sassari, terza in classifica e liquidata con un secco 3-0; la seconda, ancora una volta, Reggio Emilia, battuta con un 3-1. Tra Jesi e il ritorno in Serie A c’era solo la fortissima Caserta dell’ex aurorino Ray Tutt.

 

La speranza di tutti era di replicare quanto era successo solo dodici mesi prima quando, ai quarti, Jesi eliminò proprio i campani vincendo gara-2 con un canestro incredibile di Hoover e mantenendo il fattore campo. Già proprio Ryan Hoover…

 

Questa volta, la Fileni tornò a casa con un 2-0 sulle spalle, arrivando a un passo dalla fine della corsa. Una fine corsa che, però, non si materializzò nel terzo atto: in un UBI Banca Sport Center stracolmo anche oltre la capienza con almeno mille, mille e cinquecento casertani, Jesi si prese il primo punto, volando sino oltre le 20 lunghezze di distacco, merito anche dell’espulsione di Larranaga, protagonista di un bruttissimo gesto verso il pubblico locale, e contenendo la rimonta dei campani, nonostante l’incessante incitamento dei tifosi ospiti che, visti i decibel, costrinse “Figaro” ad alzare sempre di più la musica. Il quarto atto fu il più teso di tutti, con un andamento da thriller e le due squadre costantemente a contatto. Quando, a pochi secondi dalla fine con Jesi sotto di due, Hoover scagliò la possibile tripla della vittoria, negli occhi dei tifosi ospiti si materializzò il peggior incubo… Peccato che quel tiro si fermò sul ferro, facendo esplodere la gioia della Pepsi e lasciando con le lacrime agli occhi tutta Jesi. Nonostante l’orgoglio di una stagione bellissima, rimaneva tanto amaro in bocca, quella consapevolezza che questa squadra meritasse almeno la bella, un epilogo diverso. La stessa idea che aveva in testa Hoover che, negli anni seguenti, si prese la sua rivincita, quando venne richiamato a vestire la stessa maglia numero 7. Ma questa è un’altra storia…

 
 

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