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08/04/2020 #AURORA RACCONTA GLI STRANIERI DEL CUORE, TIM BOWERS E DWAYNE DAVIS

 

Un’altra coppia di frombolieri niente male. Un duo che, come gli altri, ha tanto esaltato il pubblico di Jesi dando vita a una bella stagione, specie se si considera la sofferenza della precedente, ma soprattutto se si pensa che è stato una sorta di passaggio fondamentale sulla strada della risalita. Tim Bowers e Dwayne Davis, dunque, due giocatori diversi ma dall’incidenza simile e con un talento unico.

 

Arrivato all’Aurora dopo un anno in Grecia, Davis ha fatto capire sin dal primo giorno di preparazione quello che era il suo ruolo in mezzo al campo: era il go-to-guy per eccellenza. Una sorta di “cavallo matto” (nel senso buono delle parole) che, in qualsiasi momento, era capace di tirare fuori il coniglio dal cilindro per sistemare le cose in tuo favore. Chiedere a Mantova per conferma: proprio alla prima di campionato, infatti, l’esterno americano si presentò con un biglietto da visita fatto da due triple, una più difficile dell’altra, in meno di un minuto che hanno scritto il 70-64 finale.

 

Una stagione, quella di Davis, conclusasi con medie altissime, 24 punti con 5 rimbalzi e quasi 4 assist a partita, ma soprattutto tantissime di quelle giocate che, oltre a essere bellissime da vedere, infiammavano il pubblico. Quel che più impressionava, oltre al gesto, era la facilità di esecuzione unita a un raggio di tiro pressoché senza limiti. In tanti hanno subito le sue giocate, dai 38 punti rifilati a Chieti in appena 28’ a quel pazzo tiro da tre sul finire dei regolamentari contro Forlì che valse il pareggio, sparato in maniera assurda da almeno otto metri. Un talento unico, accanto al quale, però, andava messo anche un po’ d’ordine e di saggezza. E che per un cambio di procuratore non tornò anche l’anno successivo a deliziare l’UBI Banca Sport Center.

 

Un professore insomma, nello specifico il professor Timothy Bowers, altro giocatore di cui è difficile trovare una copia almeno simile. Sì, perché l’ex numero 15 arancioblù era un condensato di talento, intelligenza ed essenzialità che in campo sembrava costantemente sotto controllo e quasi mai affaticato. Possibile? Sì, è possibile. Solo per citare un tratto peculiare, quel palleggio-arresto e tiro che tante volte eseguiva, lo faceva diventare semplice anche con marcature asfissianti. Merito, appunto, di una conoscenza del gioco e delle situazioni quasi come un’enciclopedia.

 

In più, spesso e volentieri si rendeva utile in mille modi, una peculiarità maturata grazie anche alle tante esperienze nei nostri campionati. E le statistiche parlarono per lui: quasi 18 punti di media, 6,5 rimbalzi e 6 assist a partita. E la tripla doppia più volte sfiorata, su tutte quella partita contro Piacenza in casa in cui Bowers terminò con una prestazione da 15+15+9; o il 19+7+7 messo a segno a Treviso quando fu uno dei trascinatori nel 20-9 dell’ultimo quarto con cui l’Aurora espugnò proprio il PalaVerde, casa della futura vincitrice della stagione regolare.

 

Quella stagione, di fatto, riconciliò gran parte del tifo arancioblù con la squadra, un gruppo che comunque ha lottato fino in fondo nonostante un’estate in cui anche l’ultimo giocatore storico, Santiangeli, lasciò Jesi. Ma questi due strangers con un gruppo di italiani ripartito dalle conferme di Battisti, Janelidze, Picarelli e capitan Maganza, uniti agli arrivi di Benevelli e Alessandri, fece cullare a tutto il popolo dell’Aurora quel sogno di tornare ai playoff. Un traguardo sfuggito non per molto, che con qualche occasione mancata in meno sarebbe stato centrato, anche se, di fatto, fu solo rinviato.

 

Una gioia rimandata soltanto di un anno, a quel 2017/18 di cui abbiamo parlato un paio di settimane fa, quella stagione che chiude il cerchio. Ma non la storia. È stato un viaggio entusiasmante quello di ripercorrere le vostre tappe del cuore, tornare a raccontare i personaggi del passato; tanti altri ce ne sarebbero ma lo spazio non sarebbe mai abbastanza. Ma la speranza è che la pagina più bella ancora debba essere scritta.

 
 

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